Nei periodi di incertezza, come l’attuale e quello vissuto da monsieur Dior nel dopoguerra, emerge il bisogno di avere una visione ottimistica verso il futuro. Il messaggio è quello di non aver paura, di andare avanti e continuare a camminare. Un messaggio importante in un’epoca in cui ci troviamo un po’ persi
Maria Grazia Chiuri
Da quando, nel 2016, Maria Grazia Chiuri ha preso il timone, la Haute Couture della maison Dior percorre la rotta per i confini del mondo. Sì, del mondo dell’immaginazione.
Dopo averci regalato una collezione AI20-21 che ci ha trasportato nella mitologia più onirica, tra sirene, ninfe danzati e amanti novelli Dafne, la PE20-21 prende ispirazione da un’altra realtà suggestiva e trascendentale: quella dei tarocchi.
Come già per l’AI, anche per la PE la classica sfilata è stata sostituita da un cortometraggio, nuovamente affidato alla sapiente macchina di Matteo Garrone. La reiterata decisione della Maison è figlia di questo tempo di distanza sociale e anche brillante soluzione. La Haute Couture diventa più democratica, senza però perdere il suo allure, l’ideale di fantasia inarrivabile che rappresenta, il quale anzi viene esaltato dalla magia propria dei lavori di Garrone.
Nel creare la collezione, la Chiuri si è lasciata guidare da Italo Calvino e il suo romanzo “Il castello dei destini incrociati” e dai tarocchi Visconti di Modrone, i più antichi conosciuti, reinterpretati in abiti in tweed, cachemire e organze, dai tagli spiccatamente moderni quanto rinascimentali, impreziositi da motivi ideati dall’artista romano Pietro Ruffo.
Ruffo ha rivisitato i tarocchi, eliminando oggetti e volti, affidando tutto al linguaggio della natura: fiori e fiere veicolano i loro messaggi di forza, destino e mistero.
Ogni creazione narra la maestria e il know-how tipici della Haute Couture e della maison: alcuni elementi hanno richiesto fino a centinaia di ore di lavoro e tecniche sartoriali particolari.
Il prendere il mondo dei tarocchi come ispirazione non è stato casuale per la Chiuri: amante del magico in prima persona, ha voluto rendere omaggio ad una realtà cara a Christian Dior stesso che spesso ricorreva alla lettura delle carte alla ricerca di indizi sul futuro.
Il regista, con il suo inconfondibile stile fiabesco, ci conduce così in un viaggio verso la scoperta del nostro Es più recondito. In questa occasione, la Chiuri non vede i tarocchi nella loro tradizionale chiave divinatoria, ma quali strumenti di autoanalisi. Tutti possiamo riconoscerci nella ragazza che vaga nello Château du Tarot (il Castello abbandonato di Sammezzano, nel fiorentino) alla ricerca di una risposta alla sempiterna domanda “Chi sono?”. Non è affatto strano che si affidi all'occulto per trovarla: ciò che sfugge al conscio potrebbe essere ritrovato nell’inconscio, dalla mano che, guidata da una forza superiore, sceglie una carta.
La guida di questo viaggio è lasciata a figure enigmatiche ma intense, gli Arcani Maggiori, le carte più potenti di un mazzo, che invitano ad esplorarci dentro, senza avere una visione troppo severa di noi stessi, e a lasciare spazio anche all’istinto. Dobbiamo guardare le cose da diverse prospettive e con pazienza per arrivare alla soluzione, senza avere paura del futuro perché ciò che deve essere troverà la via. Non a caso la Morte viene lasciata per ultima: all’apparenza carta negativa, in realtà è simbolo di rinascita e cambiamento. La rinascita è proprio ciò che incontriamo alla fine del percorso, quando finalmente conosciamo chi siamo in realtà.
Il corto si conclude, così, con le due metà che diventano Uno: il dettaglio a cui fare attenzione sono i capelli, corti e rosa, simbolo della nuova dimensione in cui entriamo quando ci accorgiamo di noi stessi, in un superamento anche del genere.
I Tarocchi mi hanno portato a questo traguardo: a perdere la mia storia, a confonderla nel pulviscolo delle storie, a liberarmene.
Italo Calvino - Il castello dei destini incrociati
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