Quando in una conversazione si fa riferimento al “Made in Italy”, uno dei primi nomi che viene in mente è quello di Gucci.
Non solo perché Gucci è sinonimo di artigianalità e qualità, ma soprattutto perché, grazie alla sua strategia comunicativa, l’azienda è riuscita ad attrarre Millennials e Gen Z, dimostrando che passato e futuro sono due facce della stessa medaglia. Non può esserci un passato se non si è lungimiranti, come non può esserci un futuro se ci si dimentica dei passi che sono stati fatti.
La storia di Gucci inizia nel 1921, quando Guccio Gucci lascia Londra e ritorna a Firenze per aprire un negozio di articoli di pelletteria, abbracciando la tradizione del territorio toscano. L’esperienza londinese si rivela fondamentale per il brand che oggi conosciamo. Liftman nell’hotel di lusso Savoy Club, Gucci entra in contatto con la nobiltà inglese e inizia a interessarsi di sartoria e cavalli. I finimenti equestri sono così tra i primi articoli venduti nel negozio e suscitano l’attenzione anche degli appassionati italiani che, sempre più spesso, si rivolgono a lui per le loro necessità.
Come per Hermès, dunque, anche per Gucci il mondo dell’equitazione costituisce un elemento primario dell’heritage aziendale, con i morsetti delle briglie e la fascia verde-rosso-verde, a richiamare il sottopancia della sella, che compaiono sugli accessori e diventano segni distintivi.
Per tutti gli anni ’20, l’azienda vive un grande periodo d’espansione che non si arresta nemmeno con l’avvento fascista e nonostante la scarsità di materiali. Gucci, infatti, non si dà per vinto e sperimenta con canapa, liuta e lino. Il successo è immediato e nel 1938 apre il primo negozio in Via Condotti. Nel 1945 nasce la bamboo bag, borsa con il manico in bamboo, che in poco tempo diventa una vera e propria it-bag.
Nel 1953, purtroppo Guccio Gucci muore, ma ha insegnato bene ai suoi figli che riescono a portare il marchio a New York alla fine dello stesso anno. Da lì, la consacrazione a livello internazionale, grazie anche alla crescente frenesia delle icone hollywoodiane per il design ricercato dei prodotti Gucci. Dalle dive del cinema come Audrey Hepburn si passa alla politica e anche Jackie Kennedy, vera icona di stile del tempo, cede al fascino fiorentino, tanto che in suo onore viene creata la borsa Jackie O.
A causa di lotte interne alla famiglia per il controllo, l’azienda vive un periodo di crisi fino a che, nel 1993, diventa di proprietà al 100% del fondo d’investimento Investcorp. Solo con l’arrivo di Tom Ford come direttore artistico nel 1994, il brand Gucci ricomincia la sua risalita.
L’era fordiana è nodale e risolleva le sorti dell’azienda riportandola ai fasti di un tempo. Lo stile del marchio viene aggiornato: non si punta più più solo su design e qualità, ma ci si concentra soprattutto sull’attitude della donna moderna, sensuale e sicura di sé. Anche l’approccio comunicativo è stravolto, con campagne pubblicitarie provocatorie in quello che venne definito un “porno chic”. Da quel momento, per Gucci si spiana la stairway to heaven.
2015, Alessandro Michele viene nominato direttore creativo e, sotto la sua guida, Gucci diventa l’ammiraglia del gruppo Kering, del quale era entrata a far parte nel 1999. Michele dona una nuova estetica al marchio, più eclettica e colorata, fortemente influenzata dal vintage anni ’70. La vera rivoluzione, però, è l’eliminazione della differenza di genere: i capi creati da Michele non possono essere classificati né come strettamente maschili né come femminili. Gucci diventa così sinonimo di libertà, creatività e sensibilità, oltre a rimanere un punto fermo del mondo del lusso.
Per festeggiare i 100 anni dell’azienda, Michele ritorna alle origini e, con i 94 look della collezione autunno\inverno 2021 “Aria”, omaggia il passato della maison e lo stesso Savoy Club. Reinterpreta lo stile equestre dandogli un tocco fetish: frustini e morsetti sfilano abbinati a velluti, paillettes e glitter che richiamano la “sexual tension” di Tom Ford.
La particolaità di questa collezione? La collaborazione con Demna Gvasalia di Balenciaga, unica nel suo genere e nell’industria, in una celebrazione del movimento e delle “nascite infinite”.
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